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Partii cuoco di Pietro Edoardo Mallegni
E le cose di casa, si ricoprono di addii;
la fastidiosa fuliggine, degli scaffali,
si moltiplica di questi silenzi.
I volti meno comuni disegnavo,
sulle pareti di gesso, in scadenza;
e uno strepitoso tentativo di riflesso,
in quei muri senza posa, abisso nero,
divenivano, dal quale, un me nuovo,
andava pescando, cercando
un passato.
Maledirsi con semplicità,
taciti tuoni e bisbigli, suoni
melliflui, sibili d’uopo,
dopo affanni d’edera,
a parassitare la linfa d’altri,
trasformasi in gioco.
Coltello non c’è da tagliarmi,
o fiamma crudele il cui segno,
sulla pelle non porti, con sfregio
e vanto d’una scorza più dura.
Non vi è sonno d’amante,
o bottiglia mezza vuota,
che ristoro vero o tabacco,
capace, si, di calmare.
Non vi è stanza, oppressa dalla calura,
di un estate mai vista, degna di soffocarmi.
Non v’è amore o cimitero, che possa tediare,
per più di pochi giorni. Lo sguardo spento,
a catene legato a queste padelle.
Non c’è fatica d’altrui o di possesso,
capace d’assopire questo mio amore.
Non v’è nulla, neppure tu, tra il rumore
nero di mannaia, lo sbatter di trincianti,
il caldo a mezz’aria insopportabile,
il canto di casseruola e il lamento,
d’acqua bollente, il cappello d’amido,
il sudore. La forma migliore di me.